rine_; non brutte, non belle, orgogliose e facendo
pesare i gruzzoli della loro dote su tutte le fanciulle del paese,
incapaci di un buon pensiero, atte a diventar due esperte cortigiane o
due donne simili alla loro zia, secondo l'occasione e le circostanze,
si assomigliavano in tutto, e si accordavano in tutto, tranne che in
due cose sole: la maggiore aveva un culto speciale pei girasoli che
alla minore mettevano spavento: questa si sarebbe pasciuta per la vita
eterna di stufato d'agnello, e all'altra veniva la nausea solo a
sentirne l'odore. Del resto il vecchio bigotto che si spartiva la vita
fra i registri dei bovini e dei laticinii, e il _Manuale di Filotea_,
le lasciava far quanto volevano, e, purche non gli lasciassero mai
sfornita la scatola del tabacco, non se ne imbarazzava ne punto ne
poco.
Questa suprema noncuranza del presente e dell'avvenire della loro
prole, era l'unico punto di somiglianza fra i due fratelli De
Boni. Rotto appena il guinzaglio inevitabile della primissima
infanzia, il piccolo Angelo, nerboruto e tracotante ragazzotto dai
capelli fulvi e dallo sguardo battagliero, si era affrettato ad
approfittarne. Era lo spirito folletto, il genio malefico delle mandre
e dei pastori. A piedi nudi, a capo scoperto, lo scudiscio in mano,
quando non era qualche cosa di peggio, facesse caldo, facesse freddo,
sotto il sole, sotto la pioggia, piombava nei tugurii, rovesciava le
pentole, gettava l'acqua della polenta sui focolali a stento
attizzati, prendeva i vecchi per la barba, i marmocchi pel naso o le
orecchie, attaccava dei razzi alla coda dei gatti, trovava un gusto
matto ad affumicar le tane dei sorci, e, quando, stanco finalmente e
trafelato se ne ritornava a casa sull'imbrunire, aveva sempre in tasca
un cartoccio destinato al suo prediletto passatempo della sera. Quel
cartoccio conteneva una dose di quella polvere di cui si riempie la
striglia adoperata sul corpo dei cavalli e dei muli, egli ne faceva
incetta mediante pochi quattrini, presso i ragazzi dei mulattieri
dipendenti da suo padre, e, arrivato a casa, salia pian pianino alla
camera del fratello rachitico, alzava le coltri del suo letticciuolo,
e con gioia satanica ne cospargeva copiosamente le lenzuola. Nulla da
il prurito come quella polvere; un prurito morboso, insopportabile,
spasmodico. Il povero piccino si coricava all'avemaria, e non era
appena sdraiato che cominciava a contorcersi e a gemere. Angelo,
appostato dietro l'uscio, si ten
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