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re la vita da un altro lato e penso che la felicita` non sia tanto al di fuori quanto dentro di noi. _17 dicembre_. Di faccia alla nostra casa e` una casetta di modesto aspetto, dove abita una ragazza della mia eta`, che fa la sarta. Quando mi alzo la mattina e quando torno in camera per andare a letto, io vedo quella testolina rossiccia, sempre curva d'estate e d'inverno sulla macchina. Spengo il lume e ancora il riverbero della sua lampadina entra per la mia finestra e spesso mi addormento allo stridulo rumorio della sua piccola _Singer_ che ella paga stentatamente a due lire al mese. Il suo mondo e` un tavolino pieno di gomitoli, il suo cielo e` quello che si vede attraverso alle nebbie grasse della citta` fra un comignolo e l'altro dei tetti. Si direbbe che essa viva nella sua macchina, fatta macchina anch'essa dagli urgenti bisogni, e che il giorno che cessasse di girare la ruota, il suo cuore dovesse cessare di battere. Eppure anche ieri mattina, mentre spolverava i mobili della sua stanza, sentii che la vicina cantava. E sempre canta quando il cielo e` bello e quando un raggio di sole trova la strada di arrivare fino a lei. E` una cantilena malinconica in cui suonano sempre due parole: amore e speranza.... Non chiedete a me, per carita`, ch'io mi ponga a cantare. Questa mia gran casa, colle pareti coperte di cuoio, con tanti mobili intagliati e dorati, e` una spelonca senza allegria. Qui manca la pace, e se io alzassi la voce per cantare, avrei paura e vergogna di me stessa e crederei d'offendere il povero padre mio, di la`, colla fronte piena di rughe.... _18 dicembre_. Ieri ho scritto ad Enrico. Non gli ho toccato della brutta questione, perche` temo ch'egli prenda in canzonatura i miei consigli, ma gli esprimo il desiderio che egli venga a Milano. Mi ha risposto che si trova a Milano gia` da una settimana. In quanto al tornare, non dipende da lui. Finche` non avra` pagato il suo debito, non vuole che la gente dica che egli mangia il pane di suo padre. Cosi` vive alla ventura, forse della carita` degli usurai, ma spera di essere compatito. In fondo egli sente altamente di se` e quest'orgoglio non e` soltanto figliuolo della caparbieta`. Povero Enrico! mi ricordo che un giorno sedevamo nel salone, io davanti al cavaletto, egli sdraiato nella grande poltrona, colla testa rovesciata sulla spalliera, con uno de' suoi romanzi nuovi spalancato sulle ginocchia
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